“Torneremo migliori di prima” Silence Of The Arts – con il Dott. Giovanni Vegeto

a cura di Madina Karbeli


Il direttore generale del Teatro Sociale di Como ci racconta sfide e strategie dei teatri lirici in tempi di chiusura.

 

Avere la responsabilità decisiva nel management di un teatro in questo periodo, sicuramente è una sfida molto difficile. Che strategia ha scelto Lei di mettere in campo per sopravvivere in questo periodo?

Ci sono due cose diverse: la strategia di programmazione e quella di gestione. Per quanto riguarda la gestione, noi abbiamo avuto, come tutti i teatri italiani, aiuti importanti da parte dello Stato. Sia attraverso la possibilità di accedere alla cassa integrazione dell’azienda dello spettacolo, come integrazione salariale, sia attraverso il contributo che ci viene erogato annualmente per la nostra attività di teatro e che è stato confermato anche in assenza di attività. Quindi per il 2020 di fatto il contributo ministeriale è stato a favore della struttura. Questo ci ha consentito di sostenere un po’ i nostri dipendenti, i nostri lavoratori, anche se ovviamente con uno stipendio ridotto. Non come tanti altri lavoratori dello spettacolo a incassi zero. Siamo riusciti a mettere in atto anche la programmazione che ci è stata consentita. In Lombardia, dal 24 febbraio abbiamo avuto la chiusura totale fino a metà giugno.

quali spettacoli sono stati annullati?

Abbiamo dovuto annullare tutta la nostra stagione di prosa dell’anno scorso e anche il Festival Como Città della Musica, il nostro festival estivo il cui progetto di punta da diversi anni è l’opera partecipata, quindi con un coro composto da cittadini comuni, che tutto l’anno provano per poi debuttare nell’opera affianco ad artisti professionisti. Negli anni scorsi abbiamo fatto Elisir d’amore, La traviata, Nabucco, etc. Quest’anno avremo dovuto fare Aida, ma avendo dovuto annullare le prove, abbiamo poi annullato l’opera, e tutto il festival si è svolto in una versione ridotta, a causa del limite di capienza di 200 spettatori e di altre forti restrizioni sull’attività di palcoscenico e di orchestra. Il distanziamento non consentiva di fare praticamente niente, quindi abbiamo organizzato dei piccoli concerti da camera con pochi strumenti (flauto, fisarmonica, pianoforte, etc.), o con i nostri cantanti vincitori del concorso AsLiCo. Devo dire che abbiamo avuto particolarmente a cuore i nostri vincitori dell’anno 2020. La 71° edizione di questo concorso è terminata ai primi di gennaio, poi a marzo sarebbero dovuto iniziare i corsi e le masterclass, ma con il lock-down abbiamo dovuto annullare tutto. Quindi ci siamo messi anche un po’ nei panni dei vincitori che partecipano ad un concorso importante, con delle prospettive professionali importanti e improvvisamente si vedono crollare tutto addosso vedendosi annullare questo impegno. Abbiamo cercato di fare quello che potevamo, con la didattica a distanza, quindi corsi di dizione, di lingua francese, perché abbiamo avuto il Werther… poi di lingua tedesca, perché avevamo una collaborazione con il festival di Bregenz in cui avremmo dovuto fare Rigoletto, una versione per bambini in tedesco… insomma abbiamo fatto qualche incontro, poi appena è stato possibile da metà giugno sono ripresi i corsi in presenza, e c’è di buono che essendo i corsi per cantanti individuali, abbiamo potuto fare le nostre masterclass, sia prima, sia dopo l’estate con docenti importanti come Roberto de Candia , Marco Vinco, Silvia dalla Benetta, Sonia Gannasi, per preparare i nostri ragazzi. La cosa che più mi ha colpito è stata ed è la volontà da parte di tutti nostri lavoratori, sia dei dipendenti che dei cantanti vincitori, di riprendere ad esprimersi perché il nostro lavoro, il lavoro del teatro, non è un mestiere come gli altri, è proprio una necessità di esprimere una parte di sé e questo vale per tutti lavori nel teatro, non solo quelli di palcoscenico, o per i tecnici, ma anche per chi organizza. Abbiamo tutti quanti la possibilità di contribuire ad un processo produttivo che produce il bello, produce dei capolavori e quindi ad un certo punto diventa la vera necessità dell’anima, quella di lavorare. Al rientro infatti, sia in quello dopo il primo lockdown a giugno, sia quando abbiamo iniziato in autunno con le nostre opere più grandi, questo slancio, questo entusiasmo erano perfettamente tangibili.

Altra importantissima realtà che si aggiunge alla programmazione e che impegna moltissimi artisti con in Teatro Sociale di Como e con l’intero circuito Lombardo, è Opera Domani, che coinvolge ogni anno molti artisti in centinaia di repliche. Il lockdown ha vanificato la produzione di Rigoletto o quanto è rimasto in sospeso verrà comunque ripreso appena possibile?

Noi abbiamo avuto i primi sei mesi dell’anno che sono stati un disastro. Abbiamo dovuto cancellare la tournée di Opera Domani, che prevedeva 130 recite di Rigoletto in tutta Italia. Dopo le prime 24-25 recite, abbiamo dovuto annullare anche perché le scuole erano chiuse e i ragazzi non avrebbero potuto venire a vedere lo spettacolo, e questo ci ha messo un po’ in difficoltà. Poi abbiamo fatto appunto il Festival Estivo con delle manifestazioni più ridotte e poi ci siamo attrezzati per realizzare la nostra stagione lirica. Era chiaro che non saremmo mai riusciti a fare Il trovatore, che è un’opera dove c’è un coro importante, o Il barbiere di Siviglia… e abbiamo così deciso di andare avanti con Werther, che non ha la presenza del coro, solo sei bambini delle voci bianche, e quindi saremmo riusciti a mantenere un distanziamento in palcoscenico. Il problema sarebbe stato quello dell’orchestra, perché Werther ha un organico di 54-58 orchestrali, che in buca avrebbero dovuto stare molto stretti, quindi ovviamente non avremmo potuto rispettare i distanziamenti. Abbiamo così commissionato alla Casa Musicale Sonzogno una riduzione per 30 orchestrali, che ci ha permesso di mettere in scena l’opera con l’orchestra in buca. Purtroppo siamo riusciti a fare solo due recite di Werther a Como aperte al pubblico, perché dopo il 26 ottobre si è chiuso nuovamente tutto, quindi abbiamo dovuto sospendere. Abbiamo così percorso la strada dello streaming, facendo una registrazione a Brescia di Werther a porte chiuse, che è stata trasmessa poi in streaming (in corrispondenza delle date in cartellone) sul nostro sito di Opera Lombardia Live, dove è ancora disponibile.

Ci sono stati altri cambiamenti al programma?

L’altra opera che abbiamo fatto in collaborazione con l’Opera di Roma è Zaide di Mozart, un singspiel incompiuto sul quale Italo Calvino aveva deciso di scrivere un testo che legasse i vari numeri musicali. Dell’opera originaria di Mozart erano rimasti 15 numeri musicali, ma l’opera non aveva né una trama, né soprattutto una fine, allora Calvino nei primi anni 80 aveva scritto questo testo di collegamento tra i vari numeri ipotizzando quattro finali diversi. Anche per questo allestimento, non essendoci coro, essendo pochi i cantanti, essendo l’orchestrazione ridotta (già pensata da Mozart cosi), abbiamo fatto questa operazione. L’opera è visibile in streaming su www.operalombardialive.it  con la regia di Graham Vick, con cantanti quasi tutti vincitori dell’edizione precedente del concorso e con la direzione d’orchestra di Alessandro Palumbo, un giovane direttore che è cresciuto con i nostri progetti più piccoli… da Opera Domani, Pocket Opera, etc. A completamento di tutto questo come apertura di stagione, con i teatri di Opera Lombardia, che è un circuito di cui noi facciamo parte insieme a Pavia, a Brescia e a Cremona, si è deciso di partire con il Messiah di Händel. Anche questo ha consentito di poter scritturare gli artisti, il coro e l’orchestra. Il nostro primo scopo era di quello di mantenere i contatti con gli artisti perché sono, diciamo, il patrimonio della nostra nazione tanto quanto i teatri. Questo perché in un settore così in crisi i cantanti, e tutti i giovani musicisti in generale rischiano di essere portati a cambiare professione. Ho sentito diversi cantanti che hanno pensato di abbandonare il mestiere, cambiare attività, cosa che sicuramente sarebbe un peccato.

In altri paesi come in Germania o in Austria, tanti teatri hanno il cast stabile, cosa che in questo periodo in certo un senso ha protetto molti artisti. Secondo Lei tornare ad un cast stabile potrebbe essere interessante in Italia?

Questa è una questione di cui si discute da tanti, tanti anni. C’è una diversità di programmazione tra i teatri che Lei ha citato, quindi tedeschi, austriaci e quelli italiani. I teatri tedeschi, anglosassoni, diciamo… in generale fanno una programmazione a repertorio, hanno loro allestimenti che ripropongono molto spesso negli anni. Invece i teatri italiani hanno una cosiddetta programmazione a stagione, quindi si realizzano meno recite di meno titoli e poi ci sono anche molti meno spettacoli in Italia. Si parla proprio di un modello culturale diverso. I teatri di Graz o di Vienna per esempio, fanno più di 200 serate all’anno e sono sempre pieni. Noi a Como facciamo 14 recite di lirica all’anno e non sono sempre piene. È proprio una diversa modalità di fruizione da parte del pubblico. Per quanto riguarda invece la questione artistica e professionale di avere dei cantanti stabili, se da un lato i cantanti crescono e migliorano perché ogni volta che vanno in palcoscenico imparano qualcosa, dall’altro non c’è tanto una scelta artistica precisa su un cantante. Un mezzosoprano può cantare un giorno Cenerentola e il giorno dopo la Terza Dama nel Flauto Magico. È evidente che sono due ruoli, che da noi almeno, presuppongono interpreti diversi. Invece lì ti capita di cantare un po’ di tutto. Da 20 anni il Teatro Sociale di Como e AsLiCo si sono uniti e coincidono. Il Teatro Sociale di Como era un teatro di tradizione e l’AsLiCo era una palestra per giovani cantanti. Una volta l’AsLiCo aveva il suo concorso, aveva i suoi vincitori che rimanevano all’interno dell’accademia per due anni, e un po’ secondo le voci che emergevano, che vincevano, e un po’ secondo le necessità, si organizzavano degli spettacoli in cui un cantante poteva fare il messaggero nell’Aida o Nemorino nell’Elisir d’amore… Si cercava di far seguire una vera e propria accademia. Adesso invece il nostro concorso è a ruoli, quindi noi mettiamo a concorso delle opere e poi i vincitori interpreteranno i ruoli per i quali vincono e canteranno nei nostri teatri. Devo dire che questo meccanismo della programmazione a repertorio, di avere delle compagnie stabili, in qualche modo è attuato da alcune fondazioni lirico-sinfoniche che hanno delle loro accademie interne in cui ci sono giovani cantanti che fanno un percorso formativo e che poi si esibiscono in piccoli ruoli nelle opere della programmazione del teatro. Ecco, sono delle modalità un po’ diverse.

Cosa è successo con il concorso dell’As.Li.Co. quest’anno? È stato cancellato anche questo?

L’edizione 2021 per il momento l’abbiamo solamente spostata, la facciamo sicuramente. Ora non sappiamo se riusciamo a farla a febbraio o nei primi di marzo, ma dovrebbe essere questo il periodo. Stiamo aspettando di capire com’è l’evoluzione della pandemia e soprattutto anche della libertà di spostamento all’interno, sia delle regioni, sia delle nazioni. Vogliamo assolutamente fare il concorso dal vivo, perché non siamo convinti delle modalità dei concorsi online. Ma soprattutto io non sono convinto di poter valutare, d’esprimere un giudizio ad un cantante ascoltandolo filtrato da un computer. Non si riesce a capire la presenza vocale, quanto la voce corra, l’espressività, la comunicativa, la capacità anche di presentarsi, di vincere la tensione… Fare il cantante, lo dico sempre, è un mestiere difficile anche perché devi fare il tuo meglio, in quel momento, in quel posto, in teatro alle ore 20.30… tutto quello che fai prima, se tu registri 10 volte un brano e lo trasmetti non è la stessa cosa…

Abbiamo parlato tanto di giovani cantanti: cosa cerca Lei in un artista in audizione per esempio? Quali sono le qualità più importanti sul palcoscenico?

Allora c’è una qualità, una soglia minima che non può mancare che è quella tecnica, quindi la correttezza tecnica, l’intonazione, l’adeguatezza del repertorio che si presenta alle proprie caratteristiche vocali. Ma sono tanti i cantanti bravi! La scelta su uno o un altro cantante dipende dall’emozione che il cantante è in grado di suscitare in chi lo ascolta, quindi dalla capacità espressiva, dalla capacità interpretativa, dalla comunicativa del cantante. Ovviamente si entra in una sfera molto più soggettiva, quindi personale, di gusto, sul colore della voce, sull’accento, sull’interpretazione… per cui è una valutazione del tutto soggettiva. Però a questa fase di valutazione soggettiva si accede solamente se sai cantare.

E avete già un programma per il futuro?

Noi abbiamo la stagione lirica dell’anno scorso, a parte Werther che era programmato e che siamo riusciti a fare, avevamo gli altri titoli che abbiamo dovuto cancellare: Il barbiere di Siviglia, Il trovatore, Iphigénie en Tauride di Gluck e La fanciulla del West. La nostra intenzione è quella di rifarli il prossimo autunno. Riguardo al concorso con tutta probabilità quest’anno non faremo il concorso a ruoli, non a titoli come negli ultimi anni, ma un concorso generale che dà la possibilità ai vincitori di frequentare le nostre masterclass per le quali riceveranno una borsa di studio e, quando ci sarà possibile capire che tipo di programmazione potremo fare in autunno, o questa estate al festival, o nel prossimo autunno in Opera Lombardia attingeremo di preferenza ai vincitori del concorso del 2021.


Pensa che sarà possibile nel 2021 riaprire con gli spettacoli all’aperto, nell’Arena del teatro?

Noi lo speriamo ardentemente, questa è una decisione che noi in questo momento non siamo in grado di prendere, non lo è nessuno. Noi possiamo programmare, ma programmare significa anche prendere degli impegni con delle persone che poi è sempre brutto dover cancellare o rivedere. Per cui vediamo che cosa possiamo fare, tutto quello che potremo fare lo faremo! Perché credo che non sia solo il nostro ruolo e la nostra mission, ma proprio il motivo per cui esistiamo noi ed esiste il teatro, di essere un punto di riferimento sia per gli artisti sia per il pubblico, sia per chi lavoro con noi. Dobbiamo essere punto di riferimento per almeno tre gruppi di stakeholder per usare un brutto termine di matrice economica, però sono i nostri lavoratori, gli artisti ospiti e il pubblico che ha bisogno di venire a teatro per emozionarsi. Anche perché credo che principalmente il bello e l’arte ci aiuteranno ad uscire da questo momento terribile!

Ho sentito tanti colleghi, tanti musicisti protestare per questo secondo lockdown. Ci potrebbe essere un modo alternativo da parte del governo, per esempio, di trattare i teatri lirici in questo periodo? Anche in considerazione del fatto che i teatri hanno già investito molto per garantire la sicurezza degli spettatori e non ci sono stati casi di contagio tra il pubblico…

I contagi tra pubblico è vero che non ci sono stati, sarebbe stato anche difficile capire se l’origine dei contagi fosse il teatro… poi soprattutto con i teatri chiusi al pubblico i contagi sarebbero stati impossibili. I contagi sul palcoscenico ci sono stati in diversi teatri, ovviamente sono state annullate delle produzioni ma ritengo che non ci sia un rischio maggiore di quanto ci sia nelle fabbriche o in altri posti di lavoro dove per forza si radunano delle persone. Da noi per esempio lo smart working in palcoscenico è impensabile, è una metodologia che non esiste mentre in uno studio di commercialista e molto più fattibile. Devo dire che io, al contrario di molte altre persone, non ho una ricetta sicura per uscire da questa situazione. Devo dire che un’analisi così, per quanto possibile dall’esterno del sistema che è stato messo in vista dal governo è quello di utilizzare secondo me i teatri, un po’ come fossero degli intermediari per trasferire agli artisti e alle persone che hanno subito questa crisi dei fondi che lo stato destina ai teatri stessi. Ora è evidente che se non ci sono le spese di produzione, è vero che non ci sono gli incassi, ma siccome le spese delle produzioni sono sempre superiori agli incassi, finanziariamente questa situazione non è tragica per i teatri, anzi li aiuta forse a rimettere in sesto le proprie casse e i propri debiti. Però credo che il non reinvestire i soldi che arrivano dal Ministero e dallo Stato, in sostanza distribuendo agli artisti, ai fornitori, etc… sia una visione molto miope e molto autolesionista della cosa, perché rischia di far rimanere da soli i teatri, di essere un po’ come delle cattedrali vuote in cui nessuno più andrà a lavorare né a vedere gli spettacoli.

Spero che finirà presto tutto questo… Vorrei chiedere se vuole mandare un messaggio agli artisti che sono in attesa di cambiamento, tanti hanno perso gli impegni di lavoro, e tanti non riescono intravedere un futuro…

Io penso che gli artisti siano dei privilegiati, non tanto dal punto di vista economico ovviamente, ma perché hanno la possibilità di fare del proprio bisogno di espressione un lavoro, ed è un privilegio. Quando un tenore canta “che gelida manina ” nella Bohème per esempio, l’80% degli uomini presente in sala vorrebbero essere al suo posto, vorrebbe essere lui a cantare quelle parole in quella musica, e quindi il fatto che ci sia della gente che lo riesce a fare, va considerato come un dono! Come con tutti talenti, è un dono che si ha in natura e che non bisogna buttare via. Questa è l’unica cosa… di ricordarsi sempre che ci sono dei momenti difficili, che ce ne sono tanti… che si è comunque dei fortunati, che si possiede una dote fuori dal comune, quella di fare arte, di farla con il proprio fisico, con il proprio lavoro, con lo studio. Il vostro è un mestiere completamente diverso. Teniamo tutti duro, naturalmente! Io credo che si ripartirà ma non tutto tornerà come prima, non credo. Anzi se tutto tornasse come prima, vorrebbe dire che non abbiamo capito proprio niente, cambierà la situazione così come sono cambiati questi dieci mesi che stiamo vivendo, cambierà nostro modo di vedere la vita, cambierà anche il nostro modo di lavorare! Però sicuramente torneremo migliori di prima, almeno io questo lo spero!

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