La corretta tecnica di canto è una sola, quella italiana

Sebastian Catana, nato in Romania, festeggia quest’anno i vent’anni di carriera, ed è un baritono affermato sulle principali scene internazionali. In occasione delle recite dell’opera di Leoncavallo nel capoluogo ligure gli abbiamo rivolto alcune domande sulla sua carriera.

Sebastian Catana – foto © Yasuko Kageyama

 

Intervista raccolta da Nicola Salmoiraghi


  • In questi giorni canterà Tonio in Pagliacci al Teatro Carlo Felice di Genova, ci vuole parlare del suo personaggio?

Tonio è un personaggio molto interessante, sia musicalmente (a parte la pagina elettrizzante del Prologo, contiene pagine di enorme bellezza), sia interpretativamente. È un carattere complesso, per questo molto avvincente da vivere sul palcoscenico. Io penso che sia un uomo che ha vissuto qualche violenza nella sua giovinezza, è stato emarginato dalla società, solo, soffrendo di una disabilità che può essere sia fisica che mentale. È cresciuto in un ambiente tossico, e anche nella sua vita con Canio, Nedda e Peppe vive immerso in un ambiente viziato da relazioni nocive. In ogni personaggio che interpreto cerco di sempre di trovare le motivazioni per le loro azioni, costruendo anche io personalmente una back-story, nel caso le motivazioni non siano chiare nel testo e nella musica dell’opera. Tonio è crudele, ma la sua crudeltà emerge solo quando viene rifiutato da Nedda, alla quale, rivelando il suo amore, apre per la prima volta il cuore a qualcuno. All’inizio dell’opera è timido, goffo e un po’ complessato, ma quando viene respinto diviene vendicativo e assolutamente perfido e perverso. È molto interessante anche vedere come Tonio durante la “commedia” interpreta il personaggio di “Taddeo”, un nuovo aspetto di se stesso, dove chiaramente è a suo agio, libero di tutti i complessi e paure della sua quotidiana esistenza, facendo qualcosa che lo diverte e in cui eccelle. In questa produzione di Genova, Tonio è presente sul palco molto più del solito, rivestendo il ruolo del vero manipolatore e istigatore del dramma, diventando quasi uno Jago nel contesto del brutale finale dell’opera: perciò in questa occasione si ritorna alle indicazioni originarie di Leoncavallo, restituendo a Tonio la pronuncia delle fatali parole finali, “La commedia è finita!”.

  • Come è nata in lei la passione del canto e quali sono stati i suoi studi e l’inizio della sua carriera?

Sono un figlio d’arte, perché i miei genitori erano entrambi cantanti lirici (Emilia e Vasile Catana), acclamati solisti dell’Opera di Stato Rumena di Cluj-Napoca, e grazie a loro ho visto la mia prima opera a quattro anni. Rimasi molto impressionato e penso che interiormente decisi quella sera che avrei voluto fare il cantante lirico, però la mia vocazione verso il canto (che è sempre stato una passione) come professione è nata di fatto molto più tardi, infatti non ho cominciato a studiare prima dei ventiquattro anni. Precedentemente ho studiato e mi sono laureato in Ingegneria Chimica alla Carnegie Mellon University e alla Michigan University. Successivamente incontrai Claudia Pinza, la figlia del leggendario Ezio Pinza e cominciai a frequentare le sue lezioni di Duquesne University di Pittsburgh, dove mi sono laureato in canto. Ho anche studiato privatamente con mia mamma. E a quel punto ho scelto il canto come vocazione della mia vita. Nel 2001 ho fatto il mio debutto professionale con Les Huguenots alla Carnegie Hall di New York.

Sebastian Catana – foto Ennevi

  • Quali sono i punti cardine di una corretta tecnica di canto?

La corretta tecnica di canto è una sola, quella italiana, che è fatta di supporto del fiato, canto sulla parola e con senso della linea e del legato. Io sono un ascoltatore appassionato e mi piace ascoltare i grandi interpreti del passato, sono i modelli a cui guardo sia da un punto di vista di espressione artistica che di tecnica vocale.

  • Verdi ha un ruolo fondamentale nella sua carriera. Esiste, a suo parere, un canto “verdiano”?

Verdi è “il” compositore, specialmente per noi baritoni. Ho cantato già molti ruoli verdiani e credo che come ha detto una volta qualcuno “tu non scegli il tuo ruolo preferito, è lui che sceglie te”, quindi evidentemente c’è una naturale propensione per alcune vocalità e alcuni personaggi. Penso che in questo consista la “verdianità” o meno di un’interprete. Verdi per me rappresenta un punto fermo, un autore a cui torno sempre con immensa gioia, perché insegna a cantare, ti spinge a migliorare sempre la tua tecnica.

  • Quale personaggio predilige di Verdi e perché?

Non è facile rispondere a questa domanda: ho cantato molte volte Nabucco, Germont nella Traviata, Rigoletto e ho affrontato in un’unica occasione Jago in Otello e Francesco Foscari. Ho appena debuttato al Berkshire Opera Festival il ruolo del titolo in Falstaff, e ho ricevuto moltissime gratificazioni dal pubblico e dalla critica, il che mi ha reso felicissimo e desideroso di affrontare nuovamente presto questo monumentale ruolo, e per il quale mi sono preparato moltissimo. Tutti i personaggi che Verdi ha creato per il baritono sono fantastici e ti spingono ad una ricerca infinita, un lavoro vocale e interpretativo senza fine.

Sebastian Catana – foto Ennevi

  • Non manca nemmeno il cosiddetto, in senso ampio, Verismo nel suo carnet, Scarpia, Barnaba, Alfio…  il suo approccio vocale e di interprete è differente nei confronti di questa scrittura vocale?

Assolutamente no. Certamente queste opere richiedono un impegno teatrale maggiore: penso soprattutto a Scarpia, un personaggio che nasce prima dal teatro di prosa e per questo richiede un vero attore. Vocalmente però tutto deve essere cantato e anche nei punti in cui è richiesto espressamente di parlare non è necessario fare degli effetti volgari. Certamente l’orchestrazione del repertorio verista richiede dei mezzi vocali che riescano a superare senza forzare la massa di suono dell’orchestra. Il Verismo arriva dopo Verdi, è semplicemente un’evoluzione stilistica dell’opera italiana e così deve essere vissuto da noi interpreti.

  • Quanto conta, oggi essere un interprete credibile sulla scena?

L’opera è sempre stata teatro: come dicevo prima io faccio un lavoro di riflessione molto approfondito sulle azioni che compie il mio personaggio, e questo processo coinvolge anche la parte attoriale. Quello che è cambiato oggi rispetto al passato è la costruzione di uno spettacolo d’opera. Siamo ormai abituati ai meccanismi del cinema, delle serie tv e per questo vogliamo all’opera un’esperienza che sia simile. Inoltre in alcuni contesti ci troviamo in spettacoli fortemente simbolici o fortemente fisici, quindi dobbiamo essere attori e qualche volta anche atleti. Quello che io perseguo è dare piena credibilità al personaggio, quindi se trovo un regista che mi spiega le sue scelte e che, sulla base della musica, costruisce la psicologia del mio ruolo, io sono disponibile a lavorare e a creare un risultato che sia teatralmente il più vero possibile.

  • Quale ricorda, sin qui, come esperienza più gratificante della sua carriera?

Ci sono tante esperienze che per un motivo o per un altro sono indimenticabili. Il primo ricordo che mi viene in mente è il mio debutto, esattamente diciotto anni fa (nell’ottobre 2003) alla Metropolitan Opera, con il ruolo di Schaunard nella storica produzione della Bohème di Zeffirelli e con la direzione del Maestro Daniel Oren. L’altra esperienza che porto nel cuore è stata incontrare nuovamente il Maestro Oren sempre con Puccini, nel novembre 2014 all’Opéra Bastille, per il mio debutto nel ruolo di Scarpia.  Un altro meraviglioso ricordo è il mio debutto al Festival Verdi, con Ezio in Attila, nel 2010, un’edizione che è stata pubblicata anche in DVD. In generale è sempre gratificante cantare nei grandi teatri italiani come il Teatro La Fenice di Venezia, il Teatro dell’Opera di Roma e il Teatro Regio di Torino. Penso anche al debutto all’Arena di Verona, il ritornare a cantare su quello stesso palcoscenico l’estate scorsa, dopo il terribile periodo che abbiamo vissuto, e debuttando il ruolo di Tonio, oppure il debutto come Falstaff lo scorso agosto, un ruolo che amo e sul quale ho davvero fatto un lavoro lungo e profondo.

Sebastian Catana

  • C’è un ruolo non ancora affrontato che le piacerebbe cantare e per quale motivo?

Ho affrontato già molti dei ruoli che sognavo, mi piacerebbe avere l’occasione di cantare nuovamente Jago e Francesco Foscari e in generale di continuare a cantare tutto il mio repertorio, mentre due ruoli che non ho ancora affrontato e che sogno di cantare sono Carlo Gérard in Andrea Chénier e Michele del Tabarro.

  • Cosa ne pensa della filologia? Cantare sempre e solo quello che è scritto o concedersi di tanto in tanto qualche “sbandata” di tradizione?

Penso che filologia e tradizione non debbano per forza essere in contrasto. È giusto talvolta fare un lavoro di ripulitura dalle cattive abitudini e dagli effetti sbagliati, quelli che vanno contro l’interesse stesso della musica e del personaggio. Tuttavia penso anche che l’opera sia il risultato di un processo storico che passa anche attraverso gli interpreti, e questo va tenuto in considerazione, specialmente nell’opera italiana.

  • Cosa avrebbe fatto se non avesse fatto il cantante?

Probabilmente l’ingegnere come dicevo sopra, ma evidentemente l’opera era nel sangue!

  • Ci può parlare dei suoi impegni futuri?

Successivamente a questo debutto genovese sarò alla Israeli Opera di Tel Aviv per una nuova produzione de La Traviata con la direzione del Maestro Dan Ettinger. Sono felice di ritornare a vestire i panni di Germont, perché dopo il Verismo di Tonio, credo sia salutare tornare al Belcanto verdiano. Più avanti nella stagione tornerò ad un altro ruolo che amo, Scarpia in Tosca alla Royal Danish Opera di Copenaghen.

8 ottobre 2021

 

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