“Vivere il teatro nella sua forma completa” – intervista flash con Renato Bonajuto
a cura di Madina Karbeli
• Essere un regista oltre che una persona con responsabilità decisive nel management di uno dei teatri più impegnati in Italia, parlo del Teatro Coccia di Novara, penso sia una sfida pesante in tempi di covid… ha trovato un modo di convivere con il virus?
Il Coccia ha scelto una linea di adattamento. Non a caso per la stagione in corso la dottoressa Baroni (sovrintendente del teatro) ha scelto il titolo di -Resilienza-, vale dire la capacità di adattarsi alla situazione, di assorbire il colpo. Il teatro è messo a dura prova dalla pandemia. Le regole sono molto restrittive anche in assenza del pubblico. Occorre rispettare le distanze, controllare la temperatura, eseguire test…
• la situazione cambia ogni giorno, dopo il primo lockdown quasi sembrava che saremmo tornati alla normalità; come tutti gli altri teatri avrete dovuto cambiare la programmazione?
La programmazione non è cambiata, anche perché è stata studiata per far fronte a questo periodo di crisi. A imporre ulteriori cambiamenti sono state le restrizioni che ora vietano l’apertura al pubblico con tutto quello che comporta. Si sono privilegiati titoli che non prevedono un grande organico: pochi elementi in orchestra, poche comparse, pochi solisti…
• Avete scelto “Antiche arie e danze per liuto suite n. 3 di Respighi e Stabat Mater di Pergolesi” in forma scenica per l’apertura di stagione… Il successo dello Stabat Mater è merito suo, questo è quanto si deduce dalle molte critiche positive. La drammaturgia della musica non prevede molta action, ha inventato una “storia”?
Il successo dello Stabat Mater va attribuito a tutte le parti coinvolte. In primis a Corinne Baroni che ha mostrato grande entusiasmo per il progetto. Al direttore Matteo Beltrami e ai suoi allievi dell’Accademia Amo, all’orchestra I Virtuosi Italiani, alle soliste, ai ballerini, allo scenografo e costumista… Per farla breve a tutti. Non esisteva una drammaturgia per la forma scenica. Ho creato una storia che mettesse in relazione due opere tra loro molto distanti. L’idea dei tableaux vivants ha riscosso molto successo e incontrato il favore della critica. La regia va adattata alle esigenze sanitarie, questo vuol dire studiare movimenti scenici consapevoli della realtà che stiamo vivendo. Vuol dire anche l’utilizzo delle mascherine e dei guanti in scena e tutta una serie di attenzioni che non vadano però ad inficiare la credibilità dello spettacolo.
• In seguito all’ennesimo DPCM la stagione è stata nuovamente interrotta… Esiste in generale un piano B, e nello specifico, come pensate di fare a Novara?
La stagione non si è interrotta. Come ha detto la dottoressa Corinne Baroni: “noi ci siamo”. Continueremo a lavorare se pur in assenza del pubblico in sala, registrando e mettendo on-line, in streaming, tutte le nostre produzioni.
• Quali sono gli vantaggi e svantaggi dello streaming?
Il teatro vive della presenza del pubblico in sala senza il quale è impensabile pensare di poter continuare a lungo. Il vantaggio dello streaming è quello di poter garantire una continuità alla professione, anche se in forma anomala e ridotta. Ciò che però viene riproposto dal piccolo schermo non è che una piccola parte di quel che realmente avviene sulla scena. Oltre a questo si perde tutto quello che è legato alle relazioni interpersonali. Andare a teatro vuol dire anche aperitivi, cene, parrucchiere, moda… socializzare, scambiarsi le opinioni nell’intervallo…
Al Coccia stiamo studiando e tra poco sperimenteremo una nuova formula che desterà interesse.
• Parliamo dei Suoi progetti come regista… ha sofferto gravemente anche Lei delle cancellazioni? C’è una possibilità di riprendere questi impegni in futuro?
Sono più di dieci le produzioni cancellate, spero di riprendere con l’inaugurazione di stagione al Teatro Municipale di Piacenza con il Barbiere di Siviglia.
• Per non chiudere con una realtà triste… sogniamo un po’… Se si potesse magicamente tornare alla normalità, o se preferisce, quando tutto tornerà alla normalità, qual è la prima cosa che intende fare? A parte una grande festa ovviamente!
Per me la festa è vivere il teatro nella sua forma completa, con tutti i posti occupati sino all’ultimo ordine, con tutti gli elementi in buca, il coro e le tutte parti in scena. Sentire il calore e gli applausi o le disapprovazioni del pubblico. Non mi occorre sognare altro.
15 novembre 2020