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Chiara Amarù, che tra pochi giorni sarà sulle scene del Teatro alla Scala con il ruolo di Linfea nell’atteso allestimento de La Calisto di Francesco Cavalli con la regia di David McVicar, è da qualche anno una delle voci belcantistiche più interessanti del panorama lirico internazionale.

Schietto e corposo timbro mezzosopranile di tradizione italiana, di bel colore e preziosi chiaroscuri, Chiara Amarù sì è raccontata ai Teatri dell’Est con la solare, mediterranea immediatezza che la contraddistingue.

a cura di Nicola Salmoiraghi


 

  • Lei ha iniziato il suo rapporto con la musica cantando nel Coro di voci bianche del Teatro Massimo di Palermo, come l’ha formata questa esperienza?

Sono nata nella bellissima Palermo, e fin da subito la musica ha fatto parte della mia vita: mio padre professore d’orchestra cornista, mia madre cantante e mio fratello anche lui oggi è cornista nell’orchestra Sinfonica Nazionale della Rai a Torino. Ho mosso i primi passi in teatro e così all’età di otto anni sono entrata a far parte del coro di voci bianche del Teatro Massimo di Palermo interpretando anche ruoli solistici: uno tra questi il Pastorello in “Tosca”. Ricordo l’emozione di assaporare ogni momento con l’entusiasmo di una bambina che pian piano scopriva la vita sul palcoscenico. Questo é stato l’inizio della mia formazione musicale che mi ha poi spinta a cominciare a studiare seriamente il canto lirico.

Cenerentola – Chiara Amarù

  • La passione per il canto lirico è venuta di conseguenza?

Da quelle piccole esperienze con le voci bianche, in teatro è nata la mia passione per questo mondo così ho cominciato a studiare canto con mia madre poi, ho conseguito il diploma in conservatorio, a seguire numerosi corsi di perfezionamento, tra i più importanti quelli con la Signora Mirella Freni e con Sergio Bertocchi.  Il maestro Bertocchi, occupa un posto particolare nella mia formazione vocale e nel mio cuore, mi ha insegnato davvero tanto.

Per anni mi sono perfezionata con lui,  successivamente,  nel 2009 sono entrata a far parte della scuola dell’opera italiana di Bologna grazie alla quale ho avuto il privilegio di studiare con altri nomi illustri del panorama lirico internazionale, “addestrandomi” al palcoscenico ;
Nello stesso anno ho vinto il premio al concorso As.Li.Co., realizzando il mio sogno: cantare “ La Cenerentola” uno dei ruoli a me più congeniali  e che  ancora oggi adoro particolarmente, e proprio nella stagione di quell’anno mi fu affidato il ruolo del titolo al Teatro Comunale di Bologna.

  • La definizione della sua vocalità è stata immediata?

Si, posso dire di sì! Quando ho cominciato a studiare canto con mia madre ci siamo subito accorte che la mia natura vocale incontrava il canto d’agilità con timbro mezzosopranile.
Successivamente con il Maestro Sergio Bertocchi abbiamo continuato e, soprattutto sviluppato il lavoro seguendo questa direzione.

  • Cosa ricorda del suo debutto?

Ho debuttato nel “Cosi fan tutte” a Como, era la mia prima vera esperienza sul palcoscenico.

Ricordo emozioni contrastanti, paure, disagi ma allo stesso tempo tanta voglia, grinta, entusiasmo e curiosità di sapere come sarebbe stato il brivido della “prima volta” con il pubblico e con i costumi !
Ho vissuto davvero dei momenti indimenticabili che conservo nel cuore perché sono stati i primi passi verso la strada che ancora oggi percorro con grande impegno e dedizione!

Isabella – Italiana in Algeri, Chiara Amarù

  • Rossini ha molta parte nella sua carriera; cosa la fa entrare in sintonia con questo autore?

Rossini!!! Per me è il sole!  La Luce che mi ha aperto la strada … quella che ho deciso di percorrere senza voltarmi più  indietro…con Rossini è stato amore a prima vista, una vera e propria sintonia: la prima aria che ho cantato nella mia vita è stata la canzone di Cenerentola, “Una volta c’era un re”; cantavo e mi emozionavo perché  mi raccontava qualcosa, mi suscitava emozioni inspiegabili, da lì l’approccio coraggioso al Rondò finale della stessa opera “Nacqui  all’affanno” per l’esame di diploma.
Questa predisposizione naturale è stata sempre accompagnata da un grande impegno nello studio rigoroso , minuzioso  e capillare di ogni dettaglio musicale da lui scritto.

  • Predilige i ruoli del Rossini buffo o serio?

Mi piacciono entrambi per diversi motivi. L’interpretazione del buffo che, sin dall’inizio della mia carriera, ho incontrato e subito navigato si avvicina di più al mio carattere vivace e solare, infatti tra me e Rosina è nata una profonda e frizzante amicizia.
Ho avuto l’immenso piacere di scoprire il Rossini serio con Malcolm de “La Donna del Lago” al Rossini Opera festival a Pesaro, Andromaca in “Ermione” a Mosca entrambi sotto la direzione del Maestro Alberto Zedda, e con lo studio di “Tancredi” e Arsace in “Semiramide”. Esperienze vocali e umane indimenticabili, i diversi spessori drammaturgici mi hanno subito incuriosita e affascinata; passare dal buffo al serio non mi ha mai spaventata anzi mi ha sempre stimolata per l’approfondimento di entrambi i  repertori.

Rosina – Barbiere di Siviglia, Chiara Amarù

  • Lei ha cantato Rosina nel Barbiere, Angelina nella Cenerentola e Isabella in Italiana. Ci racconti le differenze, per lei, tra questi tre personaggi, sia tecniche che teatrali.

Rosina , Angelina e Isabella sono le donne rossiniane che canto con molto entusiasmo.
Angelina è quella a cui sono maggiormente affezionata, adoro la sua bontà, la sua tenerezza , il suo candore e la sua eleganza insieme ai suoi grandi sogni, tutti elementi sottolineati dall’immenso Rossini  nelle bellissime pagine piene di inflessioni spalmate in un canto sincero, accenti e svettanti colorature che richiedono una vocalizzazione nitida e che raggiungono la loro apoteosi soprattutto nel Rondò finale che continuo a studiare sempre con minuziosa cura!
Rosina invece – personaggio frizzante e spiritoso, estremamente attuale alla ricerca della propria libertà ma soprattutto dell’amore racconta in musica  attraverso i vari passi virtuosistici – abbastanza difficili tecnicamente – questa brillante e giovanile freschezza che viene fusa con l’interpretazione scenica e che a me diverte molto perché mi avvicina alla realtà di una giovane d’oggi!
Infine Isabella, determinata, coraggiosa e scaltra, non si scompone per niente!  Lo trovo un personaggio molto interessante; la scrittura piuttosto contraltile caratterizza molto questa eroina sicura di sé; il mio approccio con lei diventa sempre più stuzzicante e stimolante; mi piace davvero questa donna che “a tutti se vuole la fa”.
Ciò che le accomuna a mio avviso è la loro intraprendenza, ovviamente disegnata  in tratti differenti nelle tre opere, e l’allegra leggerezza musicale tipica delle opere buffe, la distinzione tra le tre si evince nella tessitura vocale che richiede una sicura padronanza tecnica per poterle affrontare ognuna nella propria essenza.

  • Qual è la regola fondamentale di una buona tecnica di canto?

La base del canto è la respirazione, bisogna imparare a respirare bene. La natura ci fornisce tutto ciò; non bisogna forzare i propri mezzi vocali bensì assecondare la propria natura senza ricercare artificiosità. È fondamentale allenare lo strumento come un atleta allena il corpo. Studiare costantemente e avere la fortuna di incontrare un buon maestro che ti guidi nel repertorio che ti è congeniale.

  • Lei ha cantato Sara nel Roberto Devereux. Ci sono altri ruoli del Belcanto italiano, penso appunto a Donizetti e Bellini, all’orizzonte o che le piacerebbe interpretare?

Sara l’ho scoperta 7 anni fa, in un’occasione davvero unica: “Roberto Devereux” in forma di concerto al teatro del Maggio Fiorentino con la Signora Devia e Celso Albelo.  Una scuola di canto sul campo, un’emozione unica che mi ha formata sotto molti punti di vista.
A Marzo tornerò a vestire quei panni al Teatro Massimo di Palermo e sono impaziente di vedermi in quella veste, la voce ha anche bisogno di quel canto, di quelle pagine cosi ricche e io sono estremamente felice di approdare a questo repertorio.
Mi piacerebbe debuttare infatti anche la Giovanna Seymour in “Anna Bolena”, Elisabetta in “Maria Stuarda” e Adalgisa in “Norma”.

Rosina – Barbiere di Siviglia, Chiara Amarù

  • Stesso discorso per Preziosilla nella Forza del destino e Meg Page in Falstaff, preludio ad altri traguardi verdiani?

Preziosilla è la mia guerriera preferita! Ho fatto il mio ingresso al Festival Verdi al teatro Regio di Parma con la “Forza del destino” accanto ad illustri colleghi ed è una memoria che porto nel cuore.
Ho avuto il piacere di replicare Preziosilla a Verona in un’altra produzione altrettanto interessante.
“Falstaff”?  un capolavoro, per me: IL poema sinfonico!  Meg l’ho cantata due volte, Cagliari e Valencia, un personaggio simpaticissimo all’interno di un’opera che trovo divertente e affascinante.
Sono stata e resto ancora per un po’ una rossiniana prestata a Verdi. Amo quegli organici orchestrali, quelle sonorità, quei volumi, sono tutte percezioni totalmente differenti dal mio repertorio di elezione a cui ancora non rinuncio; nel mio cassetto sta chiusa per prima Amneris poi Eboli e infine Azucena… ma tutte e tre in futuro  non so quanto lontano  !

  • Ora è il momento de La Calisto di Cavalli al Teatro alla Scala; ci vuole parlare del suo personaggio, Linfea?

Il Personaggio di Linfea come da libretto è una fida ancella di Diana vocalmente impegnata in una tessitura acuta. In fase di studio ho preparato il personaggio pensando ad una fanciulla in preda ai primi desideri.
Qui insieme al maestro Rousset e al regista McVicar abbiamo creato un personaggio tenero a tratti buffo, convinto dell’importanza dei suoi valori come il rigore della castità, il pudore, la ragione e la coscienza, ma anche presa dai turbamenti che le risvegliano i sentimenti di desiderio di amore e di carnalità. Alla fine prevale la natura umana e non resta insensibile alle tentazioni dei satiri. Viene totalmente travolta assecondando così i desideri della carne.
Penso che tutto ciò sia molto attuale, si avvicina tanto al modo di affrontare le situazioni dei nostri tempi.

Isabella – Italiana in Algeri, Chiara Amarù

  • E’un momento di grande rinascita e riscoperta del Teatro musicale barocco. Cosa lo rende attuale secondo lei? Ed è un mondo che le piacerebbe esplorare?

Nelle varie epoche sia il desiderio che la voglia di rinascita avvengono perché è insito nell’uomo riscoprire il passato per far sì che si completi la conoscenza dei tempi non vissuti e conosciuti solo attraverso la storia. Ogni epoca ha il suo fascino. Il barocco è il punto cardine del melodramma ed è da lì che è partita tutta la letteratura musicale che ritroviamo oggi. È interessante scoprire quanto questi autori abbiano lavorato sui testi, studiando minuziosamente come appropriare la parola alla musica: il “Recitar cantando” per arrivare fino alle opere che oggi vengono rappresentate .
È attuale tutto ciò che è stato scritto e che ancora ritroviamo. Questa sarà la mia prima esperienza con il barocco e sono felice di ritornare al Teatro alla Scala con questa bellissima opera.
Trovo interessante questo repertorio e, perché no, sarà una bella scoperta entrare a farne parte anche in altre occasioni future.

  • Una domanda “scabrosa”… il ruolo di Santuzza in Cavalleria rusticana, per una siciliana doc, è una tentazione?

È solo una tentazione. Come non innamorarsi di Santuzza ? Sì, direi una bella tentazione a cui non posso cedere.  Adoro quell’opera e quel ruolo ma sono ancora molto lontana da quella vocalità e da quel carattere… chissà in un futuro molto lontano per una siciliana doc come me credo sarà una bella soddisfazione.

  • Quanto è importante la parte di “attrice” nel moderno teatro d’opera?

Importantissima!!! Il cantante è un attore che canta. Interpretare ciò che si sta cantando implica sempre un totale impegno attoriale.  Per questa ragione leggere il libretto d’opera è fondamentale per poter approcciare il personaggio, da lì vengono fuori tutte le sfaccettature e i vari caratteri che poi approfondiamo attraverso lo studio completo dell’opera.

Rosina – Barbiere di Siviglia, Chiara Amarù

  • Qual è l’ultima cosa che pensa prima di entrare in scena e la prima quando lo spettacolo finisce?

Prima di entrare in scena prego affinché tutto possa andare al meglio e che io possa serenamente ricordare tutto ciò che devo fare; il pensiero più bello che ho sempre nella mente mi ricorda che sono fortunata e grata perché faccio quello per cui ho studiato e, in questi ultimi tempi, ciò non è poi così scontato. Penso sempre di avere di fronte un pubblico di soli bambini ,così puri ,così ingenui ,così veri ..questo candido pensiero mi dona tanta forza .
La prima cosa che invece penso non appena finisce lo spettacolo è: che si mangia ?Accenno anche io ad un sorriso sulle labbra… uno dei piaceri più belli della vita – e oggi ancor di più fresca moglie di uno Chef Magnifico di nome e di fatto – penso che  la semplicità di una bella cena in compagnia  sia piuttosto piacevole anche per allentare le tensioni; la vita è bella e le cose belle vanno condivise e quale miglior posto se non a tavola?

  • Cosa consiglierebbe a un ragazzo o ragazza che intende intraprendere questa carriera?

Riconosco che oggi c’è molta più concorrenza rispetto al passato, però posso affermare con certezza che l’umiltà, la preparazione e la disciplina hanno un posto d’onore nella carriera di un cantante e che presto o tardi pagano i sacrifici che si affrontano per ottenere buoni risultati. Ci vogliono grande volontà e dedizione ma soprattutto un forte sostegno affettivo ed economico per provare il “tutto per tutto” e, perché no, anche un pizzico di fortuna!

  • Impegni futuri?

A dicembre tornerò nella mia adorata Bologna al Teatro Comunale con Cenerentola, l’opera del cuore, quella più desiderata, più vissuta, CHE GIOIA!!!
A marzo canterò al teatro Massimo di Palermo, sarò Sara nel “Roberto Devereux”. In pentola bolle anche qualcos’altro ma al momento non svelo di più…

 

Intervista raccolta da Nicola Salmoiraghi, 18 ottobre 2021

 

 

 

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Sebastian Catana, nato in Romania, festeggia quest’anno i vent’anni di carriera, ed è un baritono affermato sulle principali scene internazionali. In occasione delle recite dell’opera di Leoncavallo nel capoluogo ligure gli abbiamo rivolto alcune domande sulla sua carriera.

Sebastian Catana – foto © Yasuko Kageyama

 

Intervista raccolta da Nicola Salmoiraghi


  • In questi giorni canterà Tonio in Pagliacci al Teatro Carlo Felice di Genova, ci vuole parlare del suo personaggio?

Tonio è un personaggio molto interessante, sia musicalmente (a parte la pagina elettrizzante del Prologo, contiene pagine di enorme bellezza), sia interpretativamente. È un carattere complesso, per questo molto avvincente da vivere sul palcoscenico. Io penso che sia un uomo che ha vissuto qualche violenza nella sua giovinezza, è stato emarginato dalla società, solo, soffrendo di una disabilità che può essere sia fisica che mentale. È cresciuto in un ambiente tossico, e anche nella sua vita con Canio, Nedda e Peppe vive immerso in un ambiente viziato da relazioni nocive. In ogni personaggio che interpreto cerco di sempre di trovare le motivazioni per le loro azioni, costruendo anche io personalmente una back-story, nel caso le motivazioni non siano chiare nel testo e nella musica dell’opera. Tonio è crudele, ma la sua crudeltà emerge solo quando viene rifiutato da Nedda, alla quale, rivelando il suo amore, apre per la prima volta il cuore a qualcuno. All’inizio dell’opera è timido, goffo e un po’ complessato, ma quando viene respinto diviene vendicativo e assolutamente perfido e perverso. È molto interessante anche vedere come Tonio durante la “commedia” interpreta il personaggio di “Taddeo”, un nuovo aspetto di se stesso, dove chiaramente è a suo agio, libero di tutti i complessi e paure della sua quotidiana esistenza, facendo qualcosa che lo diverte e in cui eccelle. In questa produzione di Genova, Tonio è presente sul palco molto più del solito, rivestendo il ruolo del vero manipolatore e istigatore del dramma, diventando quasi uno Jago nel contesto del brutale finale dell’opera: perciò in questa occasione si ritorna alle indicazioni originarie di Leoncavallo, restituendo a Tonio la pronuncia delle fatali parole finali, “La commedia è finita!”.

  • Come è nata in lei la passione del canto e quali sono stati i suoi studi e l’inizio della sua carriera?

Sono un figlio d’arte, perché i miei genitori erano entrambi cantanti lirici (Emilia e Vasile Catana), acclamati solisti dell’Opera di Stato Rumena di Cluj-Napoca, e grazie a loro ho visto la mia prima opera a quattro anni. Rimasi molto impressionato e penso che interiormente decisi quella sera che avrei voluto fare il cantante lirico, però la mia vocazione verso il canto (che è sempre stato una passione) come professione è nata di fatto molto più tardi, infatti non ho cominciato a studiare prima dei ventiquattro anni. Precedentemente ho studiato e mi sono laureato in Ingegneria Chimica alla Carnegie Mellon University e alla Michigan University. Successivamente incontrai Claudia Pinza, la figlia del leggendario Ezio Pinza e cominciai a frequentare le sue lezioni di Duquesne University di Pittsburgh, dove mi sono laureato in canto. Ho anche studiato privatamente con mia mamma. E a quel punto ho scelto il canto come vocazione della mia vita. Nel 2001 ho fatto il mio debutto professionale con Les Huguenots alla Carnegie Hall di New York.

Sebastian Catana – foto Ennevi

  • Quali sono i punti cardine di una corretta tecnica di canto?

La corretta tecnica di canto è una sola, quella italiana, che è fatta di supporto del fiato, canto sulla parola e con senso della linea e del legato. Io sono un ascoltatore appassionato e mi piace ascoltare i grandi interpreti del passato, sono i modelli a cui guardo sia da un punto di vista di espressione artistica che di tecnica vocale.

  • Verdi ha un ruolo fondamentale nella sua carriera. Esiste, a suo parere, un canto “verdiano”?

Verdi è “il” compositore, specialmente per noi baritoni. Ho cantato già molti ruoli verdiani e credo che come ha detto una volta qualcuno “tu non scegli il tuo ruolo preferito, è lui che sceglie te”, quindi evidentemente c’è una naturale propensione per alcune vocalità e alcuni personaggi. Penso che in questo consista la “verdianità” o meno di un’interprete. Verdi per me rappresenta un punto fermo, un autore a cui torno sempre con immensa gioia, perché insegna a cantare, ti spinge a migliorare sempre la tua tecnica.

  • Quale personaggio predilige di Verdi e perché?

Non è facile rispondere a questa domanda: ho cantato molte volte Nabucco, Germont nella Traviata, Rigoletto e ho affrontato in un’unica occasione Jago in Otello e Francesco Foscari. Ho appena debuttato al Berkshire Opera Festival il ruolo del titolo in Falstaff, e ho ricevuto moltissime gratificazioni dal pubblico e dalla critica, il che mi ha reso felicissimo e desideroso di affrontare nuovamente presto questo monumentale ruolo, e per il quale mi sono preparato moltissimo. Tutti i personaggi che Verdi ha creato per il baritono sono fantastici e ti spingono ad una ricerca infinita, un lavoro vocale e interpretativo senza fine.

Sebastian Catana – foto Ennevi

  • Non manca nemmeno il cosiddetto, in senso ampio, Verismo nel suo carnet, Scarpia, Barnaba, Alfio…  il suo approccio vocale e di interprete è differente nei confronti di questa scrittura vocale?

Assolutamente no. Certamente queste opere richiedono un impegno teatrale maggiore: penso soprattutto a Scarpia, un personaggio che nasce prima dal teatro di prosa e per questo richiede un vero attore. Vocalmente però tutto deve essere cantato e anche nei punti in cui è richiesto espressamente di parlare non è necessario fare degli effetti volgari. Certamente l’orchestrazione del repertorio verista richiede dei mezzi vocali che riescano a superare senza forzare la massa di suono dell’orchestra. Il Verismo arriva dopo Verdi, è semplicemente un’evoluzione stilistica dell’opera italiana e così deve essere vissuto da noi interpreti.

  • Quanto conta, oggi essere un interprete credibile sulla scena?

L’opera è sempre stata teatro: come dicevo prima io faccio un lavoro di riflessione molto approfondito sulle azioni che compie il mio personaggio, e questo processo coinvolge anche la parte attoriale. Quello che è cambiato oggi rispetto al passato è la costruzione di uno spettacolo d’opera. Siamo ormai abituati ai meccanismi del cinema, delle serie tv e per questo vogliamo all’opera un’esperienza che sia simile. Inoltre in alcuni contesti ci troviamo in spettacoli fortemente simbolici o fortemente fisici, quindi dobbiamo essere attori e qualche volta anche atleti. Quello che io perseguo è dare piena credibilità al personaggio, quindi se trovo un regista che mi spiega le sue scelte e che, sulla base della musica, costruisce la psicologia del mio ruolo, io sono disponibile a lavorare e a creare un risultato che sia teatralmente il più vero possibile.

  • Quale ricorda, sin qui, come esperienza più gratificante della sua carriera?

Ci sono tante esperienze che per un motivo o per un altro sono indimenticabili. Il primo ricordo che mi viene in mente è il mio debutto, esattamente diciotto anni fa (nell’ottobre 2003) alla Metropolitan Opera, con il ruolo di Schaunard nella storica produzione della Bohème di Zeffirelli e con la direzione del Maestro Daniel Oren. L’altra esperienza che porto nel cuore è stata incontrare nuovamente il Maestro Oren sempre con Puccini, nel novembre 2014 all’Opéra Bastille, per il mio debutto nel ruolo di Scarpia.  Un altro meraviglioso ricordo è il mio debutto al Festival Verdi, con Ezio in Attila, nel 2010, un’edizione che è stata pubblicata anche in DVD. In generale è sempre gratificante cantare nei grandi teatri italiani come il Teatro La Fenice di Venezia, il Teatro dell’Opera di Roma e il Teatro Regio di Torino. Penso anche al debutto all’Arena di Verona, il ritornare a cantare su quello stesso palcoscenico l’estate scorsa, dopo il terribile periodo che abbiamo vissuto, e debuttando il ruolo di Tonio, oppure il debutto come Falstaff lo scorso agosto, un ruolo che amo e sul quale ho davvero fatto un lavoro lungo e profondo.

Sebastian Catana

  • C’è un ruolo non ancora affrontato che le piacerebbe cantare e per quale motivo?

Ho affrontato già molti dei ruoli che sognavo, mi piacerebbe avere l’occasione di cantare nuovamente Jago e Francesco Foscari e in generale di continuare a cantare tutto il mio repertorio, mentre due ruoli che non ho ancora affrontato e che sogno di cantare sono Carlo Gérard in Andrea Chénier e Michele del Tabarro.

  • Cosa ne pensa della filologia? Cantare sempre e solo quello che è scritto o concedersi di tanto in tanto qualche “sbandata” di tradizione?

Penso che filologia e tradizione non debbano per forza essere in contrasto. È giusto talvolta fare un lavoro di ripulitura dalle cattive abitudini e dagli effetti sbagliati, quelli che vanno contro l’interesse stesso della musica e del personaggio. Tuttavia penso anche che l’opera sia il risultato di un processo storico che passa anche attraverso gli interpreti, e questo va tenuto in considerazione, specialmente nell’opera italiana.

  • Cosa avrebbe fatto se non avesse fatto il cantante?

Probabilmente l’ingegnere come dicevo sopra, ma evidentemente l’opera era nel sangue!

  • Ci può parlare dei suoi impegni futuri?

Successivamente a questo debutto genovese sarò alla Israeli Opera di Tel Aviv per una nuova produzione de La Traviata con la direzione del Maestro Dan Ettinger. Sono felice di ritornare a vestire i panni di Germont, perché dopo il Verismo di Tonio, credo sia salutare tornare al Belcanto verdiano. Più avanti nella stagione tornerò ad un altro ruolo che amo, Scarpia in Tosca alla Royal Danish Opera di Copenaghen.

8 ottobre 2021

 

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